A partire dal 1° gennaio 2016, l’eventuale crisi di una banca viene risolta con il nuovo meccanismo detto “bail-in”: il salvataggio dell’istituto di credito, cioè, non avverrà più con soldi pubblici dello Stato e/o delle banche centrali (come è stato sino a oggi), bensì attraverso la riduzione del valore delle azioni e di alcuni crediti (come quelli dei correntisti che abbiano depositato più di 100mila euro) o la loro conversione in azioni, per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in misura sufficiente a risolvere la crisi e a mantenere la fiducia del mercato. Si è parlato di ‘prelievo forzoso’, e certo il recente caso delle quattro banche salvate per decreto, anche se ancora al di fuori delle procedure legate al bail-in, ha suscitato non poche polemiche, e fatto intuire che il rischio aumenta all’aumentare dei problemi finanziari dei vari istituti di credito.
Non tutti i risparmiatori avranno tempo e competenze per leggere i bilanci della propria banca, ma qualche precauzione può essere presa da tutti. Per esempio, un indicatore divenuto importante per rilevare lo ‘stato di salute’ di un istituto bancario è il Common equity tier 1 (Cet1), indicatore che rapporta il patrimonio netto della banca (capitale sociale più riserve) ai rischi assunti, ovvero si misura il totale delle attività poderate per il rischio.
Le norme europee prevedono come ‘pavimento minimo’ per le banche un Cet1 Ratio dell’8%, che equivale a dire che una banca può effettuare investimenti (finanziamenti, prestiti, mutui,investimenti su titoli ecc) ponderati per il rischio superiori a 12,5 volte il capitale proprio. Più questo indicatore è elevato, maggiore dovrebbe essere la solidità dell’istituto, ovvero lacapacità di affrontare eventuali scenari negativi. In generale un livello sotto il 9% non è considerato sufficiente, e sotto l’8% è assolutamente a rischio.
Ecco la tabella de IlFattoQuotidiano sullo stato di salute della banche principali operanti in Italia
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