Gli avevano promesso 3 mila euro ma ne ebbe solo 800 perché aveva sbagliato, aveva ammazzato la persona sbagliata. E’ quanto emerge dalle indagini dei carabinieri di Torre del Greco (Napoli) sull’omicidio di Salvatore Barbaro, vittima innocente della camorra, assassinato 7 anni fa da Vincenzo Spagnuolo, nei pressi di un ingresso degli scavi di Ercolano. Barbaro venne ferito a morte a colpi di pistola perché viaggiava a bordo di una vettura uguale a quella del vero obiettivo, il boss Ciro Savino, del clan Birra Iacomino. Il mandante decise di pagare ugualmente il sicario, che agì con un complice in sella a uno scooter: venne ritenuto colpevole dell’errore lo “specchiettista”, colui a cui era stato affidato il compito di indicare l’obiettivo, sulle cui sorti i pentiti sono stati vaghi. Dalle intercettazioni emerse che la sera dell’omicidio la fidanzata del mandante chiese al suo uomo, Natale Dantese, se avessero festeggiato: lui seccato, risposte che era meglio lasciare cadere l’argomento. La sera del 13 novembre 2009, infatti, i carabinieri si trovarono di fronte una scena terribile in via Mare: il cadavere del 29enne devastato da undici colpi di pistola sparati da distanza ravvicinata. Una esecuzione, una missione di morte commissionata senza lasciare spazio a errori. E invece l’errore c’era stato e anche clamoroso.
La dinamica dell’agguato rimandava subito ai killer di camorra, ma quel giovane con gli ambienti della mala aveva ben poco a che fare. La sua passione era il canto e per sbarcare il lunario si esibiva nelle feste dei neomelodici col nome d’arte di Salvio. Fu per questa ragione che le prime indagini si indirizzarono subito nell’ambiente dei neomelodici e si cercò di approfondire le frequentazioni del cantante. Nel frattempo i familiari di Barbaro si affannavano a spiegare che Salvatore era un bravo ragazzo e che nessuno poteva avercela con lui. Ma i dubbi degli inquirenti, visto il contesto, aumentavano ed erano più che comprensibili.
Come spesso accade in questi casi su quella morte – una delle tante in terra di camorra – presto calò il silenzio. Ma il lavoro degli inquirenti e dei magistrati dell’Antimafia non si è femato e così, sette anni dopo, è arrivata la verità: ad ammazza Salvatore furono i killer degli Ascione-Iacomino, convinti di aver ucciso un rivale dei Birra -Iacomino, tratti in inganno dall’auto usara da Barbaro, in tutto simile a quella della vittima designata.
CONTINUA A LEGGERE