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Femminicidio, la scrittrice: mariti "pazzi" all'improvviso

Covella analizza casi vecchi e recenti: servono pene certe

Femminicidio, la scrittrice: mariti

Femminicidio: uccidere le donne ha un nome preciso, ma tutto o quasi si ferma ad aver definito il reato. Gli omicidi di donne sono all’ordine del giorno, tante, troppe, sono più di 80 quelle che hanno perso la vita da gennaio ad oggi. Un fenomeno analizzato da esperti e da scrittori e giornalisti. “Fiore…come me” (Spazio creativo edizioni) è il libro documentario scritto da Giuliana Covella in cui si raccontano 10 storie di donne uccise da uomini. In base alla sua esperienza di ricerca e studio sui casi di cronaca, spiega a Retenews24 cosa si potrebbe cominciare a mettere in atto per fermare i femminicidi. “Ritengo importante una premessa”, esordisce Covella, “credo che ciascun soggetto debba fare la propria parte per contrastare il fenomeno – a partire da istituzioni, associazioni, mass media e società civile – quel che serve è una legislazione adeguata. Bisogna far in modo che questo tipo di reati sia punibile con una pena certa”. A sentire queste parole torna alla mente la sentenza che recentemente ha condannato Salvatore Velotto, la guardia giurata di Brusciano che ha ucciso la moglie con un colpo di pistola in faccia, a 18 anni di carcere, con il rito abbreviato. La preoccupazione della famiglia della vittima, la 33enne Enza Zullo e che con l’appello e con la buona condotta l’uomo tra meno di dieci anni possa tornare libero. Ma non è l’unico caso.
“Impensabile che chi uccide una donna sconta, nella maggior parte dei casi, dai 10 ai 15 anni”, aggiunge l’autrice, “che alla fine si riducono per buona condotta, semi infermità mentale ed altri benefici. Un esempio è quello di Fiorinda Di Marino, una donna di 35 anni uccisa dall’ex fidanzato nel luglio 2009 ai Camaldoli, un quartiere di Napoli, la cui storia ho raccontato nel mio ultimo libro insieme a quelle di altre nove donne vittime di violenza. Il suo assassino, Renato Valboa, a ottobre 2012 è stato giudicato “incapace di intendere e di volere” al momento dell’omicidio ed ha avuto una riduzione di pena. Ecco, questo significa uccidere due volte una vittima”. Ma qualcosa si può e deve essere fatto. “Le istituzioni dovrebbero finanziare percorsi formativi ed educativi sul tema della violenza di genere”, conclude Covella, “ed in particolare del femminicidio, partendo dalle scuole medie inferiori a quelle superiori. Perché è dai giovani che occorre iniziare per trasmettere loro una cultura dei sentimenti e delle pari opportunità”.

 

 

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