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domenica, 26 agosto 2018

Con l’approvazione del 13 novembre da parte del Governo, del provvedimento sul bail-in, dal 1° gennaio 2016 le banche in difficoltà economiche non saranno più salvate con denaro dello Stato, ma con quello dei creditori della stessa banca.

In sostanza, a partire dal primo gennaio 2016, nel caso in cui una banca finisca in dissesto, a contribuire al salvataggio saranno chiamati in prima battuta gli azionisti delle banca, poi i detentori di obbligazioni subordinate e senior e, in ultima battuta, i correntisti purché titolari di un conto con una giacenza superiore ai 100mila euro. Ad azionisti e creditori sarà chiesto un contributo pari all’8% del passivo della banca in crisi. Va tuttavia ricordato che, da obblighi contrattuali, qualsiasi istituto in stato di crisi dovrebbe, prima di liquidare i soci, provvedere a smobilizzare quella parte di patrimonio non direttamente collegata all’attività primaria dell’azienda, quali sono per esempio beni artistici e oggetti di valore iscritti nel bilancio della stessa. Ogni banca dovrà provvedere a redigere un piano di gestione delle crisi, nel quale indicherà l’ordine delle priorità in caso di default.

L’obiettivo è di ridurre il rischio che vengano utilizzate risorse dei contribuenti per salvataggi di singole banche. L’onere del risanamento passa quindi dalla collettività agli azionisti e ai creditori della banca. Sarà possibile svalutare alcune categorie di crediti vantati nei confronti della banca, così come di convertirli in azioni, per soddisfare le esigenze di ricapitalizzazione, seguendo un ordine gerarchico. In primis è previsto l’azzeramento del capitale e delle riserve (perdite per gli azionisti) e, se necessario, è possibile svalutare o convertire degli strumenti aggiuntivi di capitale e delle altre categorie di debito subordinato; poi sarà possibile anche svalutare o convertire crediti non subordinati e non garantiti, per poi arrivare in teoria anche a utilizzare i depositi dei clienti eccedenti i 100mila euro. Infine sarà possibile utilizzare il Fondo nazionale di risoluzione, tenendo così indenni talune categorie di creditori, purché sia soddisfatta la condizione che azionisti e creditori abbiano assorbito le perdite per un ammontare pari almeno all’8% del totale passivo.

Con il bail in, quindi, il massimo privilegio di tutela è riservato a tutti i depositi fino a 100mila. Inoltre, in virtù della cosiddetta depositor preference, i depositi sopra-soglia di persone fisiche e piccole medie imprese potranno risultare indenni dalla procedura di risoluzione. Il rischio bail-in non tocca minimamente i correntisti fino a 100mila euro, i possessori di covered bond, e i debiti verso dipendenti, fisco, enti previdenziali e fornitori.

Il vero rischio è infatti di essere, allo stesso tempo, correntista, obbligazionista e azionista della stessa banca! Quindi la prima regola è diversificare: se il signor Rossi ha un deposito nella banca A è prudente non sottoscrivere un bond o un’azione di quello stesso istituto di credito. Più in generale, alla luce anche della nuova normativa europea, è opportuno evitare l’acquisto di singole obbligazioni bancarie: meglio un fondo comune o un Etf, prodotti finanziari che investono in un paniere di titoli del settore. Il bail-in ha reso il concetto di diversificazione ancora più attuale.CONTINUA A LEGGERE