Massimo Bossetti è stato condannato all’ergastolo. A deciderlo i giudici della Corte d’Assise di Bergamo, presieduta da Antonella Bertoja, dopo dieci ore di camera di consiglio. Riconosciuta dai magistrati anche l’aggravante della crudeltà nell’omicidio della tredicenne di Brembate, Yara Gambirasio. I giudici non hanno applicato invece la misura dell’isolamento diurno per sei mesi, unitamente all’ergastolo, che era stato richiesta dal pm Letizia Ruggeri.
LA GIORNATA DI BOSSETTI – Il giorno più lungo per Massimo Bossetti è iniziato alle 9 del mattino di oggi, venerdì 1 luglio 2015 quando, per la seconda volta da quando è iniziato il processo che lo ha visto imputato per l’omicidio della giovane Yara Gambirasio, il muratore di Mapello ha parlato dinanzi ai giudici per proclamare la propria innocenza: “Sarò uno stupido, sarò un cretino, sarò un ignorantone ma non sono un assassino. Quello che mi viene attribuito è vergognoso, molto vergognoso”. Così il carpentiere ha parlato alla sbarra dell’aula dove è stata emessa la sentenza di primo grado.
IL PROCESSO – Quarantacinque udienze a porte chiuse nel corso di un anno, in cui accusa e difesa si sono duramente fronteggiate, dodici mesi in cui esperti e sedicenti tali si sono divisi sui media nazionali tra innocentisti e colpevolisti senza risparmiarsi colpi bassi.
LA RICHIESTA DELL’ACCUSA – Al termine della fase dibattimentale la richiesta del pm Letizia Ruggeri è stata durissima: ergastolo con isolamento diurno per sei mesi
LA PROVA DEL DNA – Tanti gli elementi di un’inchiesta, racchiusa in 60 faldoni, che ha come prova regina il Dna. La pistola fumante per l’accusa, un colpo a salve per la difesa. La traccia mista – forse sangue – trovata sugli slip e sui leggings della 13enne scomparsa da Brembate il 26 novembre 2010 appartiene alla vittima e al misterioso ‘Ignoto 1’, identificato in un secondo momento in Massimo Bossetti. Ma in quella traccia il Dna mitocondriale (quello che indica la linea materna, ndr) non corrisponde all’imputato. “Un’anomalia che non inficia il resto: solo il Dna nucleare ha valore forense”, sostiene l’accusa. Un “mezzo Dna contaminato” la cui custodia e conservazione “sono il tallone d’Achille” di un processo “indiziario”, ribattono i difensori Claudio Salvagni e Paolo Camporini.
LE INDAGINI – Al processo si è arrivati dopo un’indagine faticosa, con numeri record che non hanno tralasciato nessuna pista, tra cui quella che ha portato ad identificare il padre naturale di Bossetti (Giuseppe Guerinoni di cui è stato necessario riesumare la salma) e alle smentite della madre che ha sempre negato la relazione clandestina.
LE PAROLE DELL’ACCUSA – Un percorso che dimostra la genuinità dell’inchiesta: “Si è partiti da un Dna che non si conosceva” per arrivare a un uomo “nato e cresciuto in queste zone. Non sapevamo chi fosse, non era un sospettato, e ciò sgombra il campo dall’idea di voler trovare a tutti i costi un colpevole”, le parole del pm Ruggeri nella sua requisitoria. Provette e reperti di cui i legali di Bossetti contestano i risultati e che, in ogni caso, “sarebbero un indizio non preciso di un contatto e non di un omicidio”.
GLI ELEMENTI INDIZIARI – A incastrare Bossetti ci sarebbero altri elementi: i passaggi del furgone davanti al centro sportivo e le fibre tessili sulla vittima compatibili con la tappezzeria del suo Iveco; le sferette metalliche su Yara che rimandano al mondo dell’edilizia o l’assenza di alibi e il suo tentativo di fuga il giorno dell’arresto. Indizi su cui la difesa ribatte mettendo in dubbio anche il luogo dell’omicidio. Il furgone immortalato non è di Bossetti e l’allineamento degli orari delle telecamere non combacia con i tempi dell’accusa; le sfere e le fibre non riconducono con certezza all’imputato, il quale non è mai scappato.
Un delitto non premeditato e senza testimoni oculari, in cui resta ignoto il movente e in cui si può ricostruire solo in parte quanto accaduto. E’ il corpo della giovane vittima, trovato il 26 febbraio 2011 in un campo abbandonato di Chignolo d’Isola, a restituire la trama dell’aggressione: Yara è stata colpita alla testa e accoltellata più volte con armi mai trovate. Morirà di stenti dopo una lunga agonia.
Naturalmente ora Bossetti potrà ricorrere in appello, ma il processo di primo grado relativo alla vicenda giudiziaria del muratore bergamasco ha visto infliggergli una condanna a vita per l’omicidio di Yara.