“Sandokan comanda ancora, anche dal 41 bis”. E’ quanto dichiara in un’intervista al Tgr Campania Massimiliano Caterino, per trent’anni braccio destro e poi cassiere del boss dei Casalesi Michele Zagaria, ma oggi collaboratore di giustizia. Secondo le sue parole, Francesco Schiavone è tutt’ora alla guida della potente organizzazione criminale casertana nonostante il carcere duro.
Nel corso dell’intervista, Caterino ricorda cosa lo ha spinto a diventare un camorrista. “Da noi si è sempre respirata aria di camorra. Già a dieci anni…eravamo affascinati da come venivano venerati, da come si vestivano, dalle macchine che avevano. I grandi imprenditori e i professionisti le veneravano e le ossequiavano queste persone. Per me – dice ancora l’ex luogotenente di Michele Zagaria – essere un camorrista significava che tutto diventava facile. Si guadagnava rispetto, tutte le porte erano aperte, i professionisti erano a tua disposizione”.

“Chi ha fatto politica nella nostra zona sapeva noi chi eravamo, di tutti gli schieramenti”, dice Caterino che rivolge anche un appello al suo ex capo: “Collabora, collabora per dare un riscatto al tuo paese. Fa capire che è stata (la camorra, ndr), una cosa negativa. La nostra è stata una scuola negativa. Abbiamo fatto solo del male. Tu sei stato il nostro capo, tu ci hai insegnato il male e noi l’abbiamo trasmesso. L’unica possibilità che abbiamo per il futuro delle nostre zone, che sono bellissime, è questo riscatto”.
Caterino sottolinea, con le sue parole, anche il livello di pervasività che il clan dei Casalesi aveva nel Casertano: “Risolvevamo tutti i problemi, – dice – vertenze sindacali, vertenze matrimoniali, qualsiasi problema noi lo risolvevamo in cinque minuti”. Rispetto alla camorra napoletana – continua – “noi eravamo molto più riservati, più umili, più seri, mentre a Napoli sono più chiassosi, diciamo alla Setola (il killer Giuseppe Setola, a capo dell’ala più sanguinosa del clan dei Casalesi)”. Infine Massimiliano Caterino parla dei viaggi che l’ex primula rossa Zagaria faceva durante la latitanza, durata quasi 16 anni: “Andava fuori Italia, – dice – in Europa, in America, in Australia grazie ai documenti che gli venivano forniti dai professionisti», a cui «noi cambiavamo la fotografia”.
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