CHI E’ STATO?
Un gruppo di delinquenti arriva in una piazza al rione Sanità a Napoli e ammazza un ragazzo. Di chi è la colpa?
Delle istituzioni, naturalmente. Nessuno ha parole di rabbia verso gli assassini. Come se a fare fuoco fosse stata la politica
Partono le inchieste sociologiche. Non ci sono asili. Né cinema. Non c’è lo Stato. Ma chi è lo Stato? E com’è che non è mai colpa nostra?
di Antonio Menna
E’ un racconto consumato, che esce a fatica, ormai. Un racconto già raccontato. Un film già girato. Uomini in moto irrompono in una piazza storica di Napoli, alla Sanità. Sgommano, frenano. Sono le cinque del mattino. L’impianto di illuminazione pubblica, a quell’ora, si spegne. Anche se è ancora buio. Nella piazza stazione un capannello di ragazzi. Non si sa perché alcuni giovanissimi, all’alba, ozino sui muretti di un quartiere. Ma è così. Succede in tutti i rioni popolari di Napoli. Il gruppo di motociclisti arriva e spara. Fa fuoco sul mucchio, a quanto pare. Cade un ragazzo. Ha 17 anni, si chiama Genny. Muore.
Qui parte un altro racconto consumato, già raccontato. Orde di amici e parenti si disperano. Cercano le telecamere e accusano. Contro chi si scagliano? Contro i killer? Contro gli assassini? Vogliono farsi giustizia da soli, come quando il colpevole è un poveraccio? No. Si scagliano contro lo Stato. Ad ammazzare Genny non è stato il commando di killer arrivato da chissà dove e chissà perché. Sul banco degli accusati, le istituzioni. Sempre. E’ sempre colpa dello Stato. Ma chi è lo Stato?
Un anno fa, più o meno di questi tempi, un altro ragazzo – Davide – cadde sotto altri colpi di pistola. Successe al Rione Traiano, altro pezzo di periferia ingoiata dalla città. Lì a sparare fu un carabiniere, che lasciò partire un proiettile durante un inseguimento a tre ragazzi su uno scooter che non si fermarono all’alt. Era notte fonda, anche allora. E anche allora nessuno spiegò che ci fanno i ragazzini nel cuore della notte sui motorini, senza casco, a tre, tirando dritto ad un posto di blocco. L’accusa scattò facile: Davide è stato ucciso dallo Stato. In quel caso, fu più semplice. Ma il brodo è lo stesso. Scattarono le inchieste sociologiche. Giornalisti e studiosi si accorsero all’improvviso che a Rione Traiano non ci sono cinema, biblioteche, asili; non c’è lavoro, c’è droga, c’è malavita. Ma davvero? Anche alla Sanità, adesso, scendono stormi di analisti: oh, alla Sanità non c’è nulla. Ma va?
Non c’è nulla. I ragazzi sono allo sbando. Camminano, corrono, urlano alle quattro del mattino, vanno a letto alle dieci, sfangano la giornata, non hanno obiettivi, campano di spaccio e si fanno la droga che vendono; le famiglie sono smembrate, disperse, confuse; non c’è tessuto economico, non c’è presidio culturale, ci sono pochi, spaventati, guerrieri – come quelli del coraggioso corteo del No alla camorra – che provano a lanciare un seme. Ma chi è stato a ridurre questi quartieri così? E come mai ce ne ricordiamo solo quando ci scappa il morto, e solo per 48 ore, il tempo che si raffreddi?
E’ colpa dello Stato, urlano tutti. Ma sono gli stessi che quando arrivano le volanti della polizia le ostacolano per favorire la fuga dei parenti. Sono gli stessi che se compaiono le ruspe per demolire l’abuso edilizio urlano all’ingiustizia. Sono gli stessi che se arrivano i vigili a verbalizzare il venditore abusivo di pane, il parcheggiatore abusivo, il commerciante abusivo, l’occupante abusivo di case si fanno afferrare per pazzi; sono gli stessi che i figli a scuola non ce li mandano perché la scuola vera si fa per strada.
E’ curioso e paradossale che i luoghi dove meno esiste il sentimento collettivo; i luoghi dove il potere pubblico è sempre stato visto come un invasore; i luoghi dove la legalità vive nel perimetro delle leggi che io decido di rispettare o non rispettare, perché ci sono leggi giuste e leggi sbagliate e lo decido io; i luoghi dove lo Stato non è gradito, non è voluto, è un invasore, un disturbatore, un usurpatore; dove chi rispetta gli altri e le regole, è una specie di fesso; i luoghi dove il mio voto lo vendo per cinquanta euro tanto sono tutti mariuoli; proprio in quei luoghi lì, quando accade la tragedia, la colpa è dello Stato.
Ma che cos’è lo Stato? Una entità che si invoca solo per avere, che si richiama solo per lamentare quello che non hai. Ma lo Stato è dare e avere. Lo Stato esiste se lo riconosci. C’è se assumi la legalità, il senso collettivo, il rispetto delle regole come orizzonte. Diritti e doveri. Allora, sì, che lo costruisci e lo invochi. Lo Stato è nei servizi, certo, che mancano colpevolmente; lo Stato è nel tessuto culturale, lasciato in agonia; lo Stato è nel presidio delle forze dell’ordine, che invece spesso vivacchiano; lo Stato è nella scuola diroccata e in quel sentimento di solitudine che investe i pochi che hanno voglia di normalità. Lo Stato è in molte colpe. Ma in quelle colpe ci siamo noi. C’è ciascuno di noi.
E’ questa la molla che non scatta. Gli psicologi lo sanno: il cambiamento avviene quando smetti di dare le colpe all’esterno, e ti guardi dentro. Il nodo è lì. Lo Stato non è assente per colpa sua. Ma per colpa nostra, perché noi non lo vogliamo. E non vogliamo sentire neppure questa verità. Non ci piace, la verità. Ci disturba. Perché così come si detesta chi segnala il problema, accusandolo di essere lui il problema; si detesta chi segnala le colpe, perché non è mai colpa nostra. Il colpevole è sempre esterno.
Così ad ammazzare Genny, l’altra notte alla Sanità, non è stato un pugno di miserabili killer allevati nel brodo stesso del quartiere, in quella cultura dell’illegalità diffusa e coltivata. E’ stato lo Stato, tiriamo un sospiro di sollievo.
Abbiamo trovato il colpevole, torniamo sui muretti.
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