di Enzo Ciaccio
Guaglio, da grande a chi vorresti assomigliare, a Maradona? No. A Massimo Troisi? No. A un grande medico? Neanche. E allora, a chi? A Marco Di Lauro, ‘o latitante. E’ qui, è ben nascosto da qualche parte, protetto da un esercito di comparielli che vivono solo per proteggerlo dallo Stato che lo cerca. E’ qui, come vento nel vento. Forse solo a pochi passi. Esce solo di notte, dicono, come fanno i vampiri. E’ un fantasma, che svolazza silente. Secondo alcuni, si muove travestito da donna, con i tacchi a spillo, il rossetto alle labbra, i pantaloni attillati o la minigonna per gestire indisturbato i suoi affari. Vive in tana, come le bestie feroci. Ma non rinuncia – assicurano – a un salto ogni tanto in qualche officina amica per ubriacarsi col rombo di un motore truccato. E’ latitante, ma non si priva degli agi che la rete di connivenze (e i milioni) gli consentono di godere: i saponi e i profumi pregiati (perché ha la fissa della pulizia personale e non sopporta chi suda), le riviste specializzate (quelle che trattano di auto e motori), le donne (ma poche, fidate, perlopiù amiche di antica data o figlie di comparielli). Per i napoletani, Marco Di Lauro – 35 anni, il quarto figlio (F4, lo chiama affettuosamente il papà Ciruzzo o milionario, cioè Paolo Di Lauro, il capo del clan più forte di Scampia, in carcere duro dal 2004) è un capo camorra avvolto nel mito, da dieci anni una sorta di presenza (in senso quasi esoterico), misteriosa e occulta, eterea ma ingombrante, invisibile ma opprimente. Taciturno, riflessivo, discreto. Per lui, che si atteggia a stratega e filosofo, una tregua è molto meglio di una strage. E farsi amico un nemico è più intelligente che sparargli in faccia. Altro che il fratello maggiore Cosimo, spaccone e testa calda, abituato al giubbotto di pelle e a menar le mani prima di ragionare. A lui, che col trapanese Matteo Messina Denaro risulta uno dei latitanti italiani più ricercati a livello internazionale, si deve la ricomposizione del più feroce clan di Scampia dopo gli arresti del papà Ciruzzo e dei suoi fratelli Cosimo, Vincenzo, Ciro e Antonio, nonché il ritorno all’ovile di molti dei guaglioni girati che erano passati con gli scissionisti traditori. E’ qui, si siede alla nostra tavola. E forse abita proprio nell’appartamento di fronte a casa nostra, quello che ha sempre le serrande abbassate. O forse no, è nel vicolo accanto. E’ qui, lo si sente nell’aria che anche se piove gronda droga, pallottole e sangue. E’ qui nei colori dei bambini, sbiaditi per la paura. In un anno il clan Di Lauro incassa una montagna di milioni di euro solo grazie allo smercio di sostanze stupefacenti gestito al rione dei Fiori detto Terzo mondo a Scampia. Il clan rappresenta una holding planetaria, che ha annientato tutti gli avversari locali (gli Amato-Pagano e gli Abete-Abinante-Notturno), coltiva relazioni ad altissimi livelli e vanta succursali attive in quasi tutti i continenti. La strepitosa ripresa del business dopo la crisi del 2004 (dovuta agli arresti dei vertici) dimostra, secondo gli inquirenti, che il latitante Marco Di Lauro, capo senza rivali, è attivo sul territorio al cento per cento. C’è, ma non si vede. Al contrario dei fratelli, Marco il filosofo non ama le spacconate né i toni da guappo stile sceneggiata. Non gli piace leggere le biografie dei boss del passato né si fa beccare con i Dvd su Adolf Hitler in salotto. E neanche si sogna di indossare magliette con l’effigie di James Dean nel film cult Gioventù bruciata. Stupidaggini. Guasconate. Lui è uno serio, anche se va pazzo per le Bmw M3 ritoccate, le Fiat Punto da 500 cavalli e qualche volta sbaglia mira come gli accadde con il povero Attilio Romanò, impiegato in un negozio di telefonini, freddato per errore a colpi di pistola nel gennaio 2005 in un raid anti-scissionisti. Oggi ‘o latitante appare più in forma che mai. Ed è qui, è sicuro. Vento nel vento. Sta tra di noi, si aggira indisturbato tra Scampia, Melito, la periferia nord di Napoli, forse di tanto in tanto si spinge perfino lassù nella quiete dei Monti Lattari oppure nel cuore del capoluogo, sul lungomare senza le auto, tra la gente che fa shopping o in qualche cinema o ristorante alla moda, camuffato e ben protetto dall’esercito dei suoi malnati (i 75 clan della camorra in Campania contano quasi 7mila affiliati ndr). Il giovanotto – grazie al carisma criminale che in parte davvero emana e in parte gli è stato cucito addosso – è vissuto dai napoletani più sensibili come una ferita aperta. Per altri, è addirittura una metastasi con cui la comunità è costretta a convivere, senza terapia che tenga e senza più la forza per provare a liberarsene. E’ qui, incombente e perfido: come un infarto, che esplode in petto. Come una febbre, che brucia il respiro. I turisti che arrivano – racconta un operatore – mi chiedono a volte se gli si può parlare, magari pagando un di più per il brivido fuori programma. L’impronta di Marco ‘o latitante sulla città normale la si intravede perfida in ogni ricatto o estorsione, minaccia o sopraffazione. E’ come un marchio stregato, impresso a fuoco nelle visceri per uno sguardo di troppo. Giusto o no, il giovane capo-camorra è cresciuto nella mentalità dei giovani napoletani “periferici” come un modello da emulare, quasi l’archetipo di una post-guapparia 3.0 che imperversa e comanda sui vecchi schemi criminali. Freddo e spregiudicato, silenzioso e griffato. Comandi a voce, niente cellulare, al massimo qualche pizzino. Poche parole, scarpe firmate, niente complimenti o cene e vacanze tutti insieme. Poco sesso, rinuncia all’alcol, niente cocaina, abitudine al silenzio: lui – che troppe domande forse neanche se le pone – racchiude e simboleggia le sembianze efficientiste e globali del camorrista da terzo millennio. Confessa un inquirente: sarà illuminante osservare le reazioni di larga parte dei minorenni che vivono le periferie a nord di Napoli se e quando il boss Di Lauro dovesse essere identificato e arrestato. Non lo dico, ma temo proteste e disordini. Prenderlo? Non sarà facile. Raccontano che fa vita da eremita, o quasi. Allenato alle rinunce, come il boss in Gomorra la fiction Tv. E che il suo unico idolo si chiama Pasquale Scotti, ex capo-decina della Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo: dal 1985 lo cercano le polizie di tutto il mondo, senza riuscire a trovarlo. Lui sì che ha saputo davvero svanire nel nulla. Vento nel vento. 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