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Matrimonio e obbligo di fedeltà, un disegno di legge propone propone la sua soppressione

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Addio all’obbligo di fedeltà tra marito e moglie. È quanto prevede il disegno di legge presentato al Senato e ora assegnato alla commissione giustizia di palazzo Madama che modifica l’art. 143, comma secondo, del codice civile in materia di soppressione dell’obbligo reciproco di fedeltà tra i coniugi.

Come ricordato dal portale StudioCataldi, la giurisprudenza di Cassazione, ha già chiarito che “il giudice non può fondare la pronuncia di addebito della separazione sulla mera inosservanza del dovere di fedeltà coniugale” (cfr. Cass. n. 7998/2014). Inoltre, con l’avvento della legge n. 21/2012, si sottolinea nella relazione al ddl, è stato superato il “problema annoso della distinzione tra figli legittimi e figli naturali, distinzione odiosa che ha portato il legislatore a prevedere l’obbligo di fedeltà tra i coniugi”. Infatti, l’art. 143 c.c. si spiega ancora, stabilendo tale obbligo si richiama soprattutto alla fedeltà sessuale della donna, “perché fino a non molto tempo fa, solo la fedeltà della medesima era un modo per ‘garantire’ la legittimità dei figli”.

ADDEBBITO E OBBLIGO DI RISARCIMENTO – Il tradimento allo stato attuale, è vietato dalla legge, ma l’unica conseguenza che esso comporta è il cosiddetto addebito nella separazione. In pratica, il marito o la moglie che è stato tradito, se intende separarsi, può chiedere al giudice di dichiarare che la colpa della separazione è del coniuge infedele. Da un punto di vista pratico, però, questo – che viene tecnicamente chiamato «addebito» – non dà alcun diritto al risarcimento del danno o a ottenere, ad esempio, il rimborso dei soldi eventualmente spesi per terapie conseguenti a uno stato di depressione causato dalla triste scoperta. Né esiste alcun diritto – come a fine articolo chiariremo – a ottenere il risarcimento da parte del terzo “estraneo”, ossia l’amante. Ma procediamo con ordine.

LE CONSEGUENZE DELL’ADDEBITO – come riportato dal portale Laleggepertutti.it – sono minime se il coniuge responsabile della fine dell’unione è anche quello che economicamente sta meglio. Difatti, il traditore perderà: la possibilità di chiedere l’assegno di mantenimento all’ex e la possibilità di diventare erede dell’ex coniuge qualora questi dovesse morire nel periodo intermedio tra la separazione e il divorzio (al massimo 1 anno).

Mettiamo allora il caso che a tradire sia un uomo, che percepisce uno stipendio di 2.000 euro al mese, mentre la moglie ha solo un piccolo part time di 400 euro. Chiaramente, in caso di separazione, la donna avrà diritto al mantenimento. E tasele diritto le spetta sia che ottenga l’addebito a carico del marito, sia che non lo ottenga. Dunque, tutta la causa, incentrata a dimostrare il tradimento dell’uomo, non avrà alcun effetto pratico, poiché comunque l’ex moglie avrebbe ugualmente ottenuto l’assegno mensile.

Se, invece, a tradire dovesse essere la donna – il coniuge cioè che ha il reddito più basso – il marito avrebbe ben ragione a dimostrare la sua infedeltà perché, in tal modo, sarebbe esentato dal pagarle il mantenimento. Il principio generale è che il tradimento, se noto a tutti dà il diritto al risarcimento: quando l’infedeltà diventa disonorevole, al marito o alla moglie tradito spetta l’indennizzo del danno patrimoniale e non patrimoniale.

Fonte: StudioCataldi.it – Laleggepertutti.it

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