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Giudiziara

Minorenne incinta ridotta in schiavitù, il suocero la costringeva

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Minorenne incinta, di anni 13, ridotta in schiavitù dal futuro suocero. Dopo essere stata venduta da suo padre al suocero come moglie per il figlio, una tredicenne, incinta, era stata costretta ad andare ad elemosinare ogni giorno, senza poter rientrare a casa se non dopo aver racimolato almeno 30 euro, e, in caso contrario, era picchiata con pugni, con la cinta e con bastoni anche nel periodo in cui era incinta. Tale situazione è perdurata per circa una anno. La Corte di appello di assise di Napoli condannava il suocero per riduzione in schiavitù, sentenza confermata in Cassazione. Fondamentali le dichiarazioni di un testimone, che l’aveva vista più volte mendicare, e quelle di un carabiniere, che ne ha sottolineato «lo stato di paura e di prostrazione in cui l’aveva più volte trovata». Indiscussa la condanna del suocero, confermata in Cassazione, ritenuto responsabile del reato di “riduzione in schiavitù” della minorenne incinta. Vengono acclarate le condotte violente da parte del suocero che costringeva la minore alla continuativa pratica di accattonaggio cui era costretta la persona offesa, alla evidente condizione di inferiorità fisica e psichica, essendo la stessa all'epoca dei fatti tredicenne e per di più incinta. Per i giudici la condizione di integrale asservimento per il delitto di riduzione in schiavitù, non è incompatibile con una certa libertà di movimento, che nel caso di specie era funzionale all'attività di accattonaggio  cui veniva costretta la minorenne.

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